Nel filone di polemiche attorno alla questione della dimensione della nuova pista del “Vespucci” di Firenze (2.000 o 2.400 metri?) alimentate un po’ da tutti gli attori in campo per ciò che viene detto e non detto, continuano a susseguirsi le più varie teorie, tra passi avanti, retromarce, acrobazie lessicali per giustificare tutto e il contrario di tutto, bizzarre e contraddittorie interpretazioni delle responsabilità nelle decisioni metriche e degli effetti dimensionali.

Su questo blog abbiamo già proposto considerazioni sugli aspetti relativi agli aerei previsti al “Vespucci” e all’operatività con le diverse dimensioni di pista in precedenti commenti (oltre che su vari numeri del nostro notiziario “Aeroporto”) e ad essi rimandiamo chi fosse interessato (in particolare Questione pista # 1). Qui vogliamo provare a rimettere in ordine alcuni significati più generali connessi al “taglio” di pista, sfatando luoghi comuni poco pertinenti che vengono ripetuti.

2.000 o 2.400 metri di pista non incidono sul ruolo dello scalo fiorentino nel sistema aeroportuale nazionale e regionale né sul possibile sistema unico Firenze-Pisa, perché tale ruolo ben noto e definito in entrambi i casi non cambia: non cambiano la tipologia di aerei che opereranno, le destinazioni con essi raggiungibili, la tipologia di voli che lo scalo fiorentino dovrà prioritariamente gestire né la raggiungibilità della soglia (minima o massima, dipende dai punti di vista) dei 4,5 milioni di passeggeri. Cambia in parte il modo in cui il “Vespucci” potrà svolgere tutto questo.

2.000 o 2.400 metri di pista non hanno a che vedere con l’essere o non essere “city airport”, nel senso che (se si vuole) tale definizione può restare in ogni caso (peraltro con valenza applicabile ad entrambi i due maggiori scali toscani). La definizione di scalo cittadino, infatti, non ha un’accezione ben definita né è connessa necessariamente a una dimensione di pista. Tra gli scali considerati tali rientrano le realtà più diverse: per il parametro distanza dalla città e prossimità con il tessuto urbano lo sono molti aeroporti con normali infrastrutture, con piste anche oltre i 2.400 m e traffico oltre i 5 milioni di passeggeri (come ad esempio Milano Linate o Napoli); per distanza dal centro città (2 km) e vicinanza agli abitati è scalo più cittadino di tutti il “Galilei” di Pisa, proprio per questo definito dai suoi gestori “aeroporto di quartiere” (pista di 3 km, capacità intercontinentale, obiettivo a 7 milioni di passeggeri); è scalo cittadino il London City, sulle rive del Tamigi (pista più corta dell’attuale pista di Firenze, ma con minori limiti operativi, bretella di rullaggio in progetto per migliorare la gestione dei voli, 3,4 milioni di passeggeri nel 2013, 6 milioni previsti al 2023); per la sua collocazione era membro dell’associazione europea degli scali cittadini (attiva negli anni novanta) il vecchio aeroporto Baneasa di Bucarest (pista di 3.100 m, oggi utilizzato da charter e aviazione generale); è city airport Stoccolma Bromma (pista di circa 1.700 m, 2,3 milioni di passeggeri), parte del sistema aeroportuale di Stoccolma assieme all’hub di Arlanda (sistema supportato a distanza – 80/100 km – dai due scali low cost di Skavsta e Vasteras); è considerato city airport Berna Belp (pista di 1.730 m e scarso traffico) ed è tale il Goteborg City, secondo aeroporto di Goteborg (pista di 2.039 m, base low cost di Ryanair). E si potrebbe continuare con tanti altri esempi grandi e piccoli di scali definibili cittadini, tutti diversi dalla realtà fiorentina, non inquadrabile in alcuna tipologia per la sua assoluta anomalia (anche come city airport) frutto delle note vicende “storiche” toscane.

2.000 o 2.400 metri non variano le implicazioni urbanistiche e ambientali della nuova pista. I 400 metri in più o in meno non modificano l’inserimento territoriale dell’infrastruttura nella piana. I 400 metri in più o in meno non cambiano il senso dei netti miglioramenti ambientali connessi al riorientamento della pista per la riduzione dell’impatto acustico sulle aree abitate e per il contributo non significativo sul piano degli effetti atmosferici. Semmai, sotto il profilo ambientale, le variazioni in più nella lunghezza di pista non potrebbero essere che positive per il noto concetto “più pista, meno rumore” connesso alle migliori procedure attuabili grazie alla disponibilità di distanze di atterraggio e decollo maggiori (concetto già applicato in tante realtà, come nei casi di Bologna e Pisa che abbiamo raccontato molte volte).

2.000 o 2.400 metri di pista non hanno relazione con l’esistenza o meno di una società unica o una holding tra gli scali di Firenze e Pisa o con l’avere o meno un proprietario unico quale maggiore azionista, dato che qualunque sia la gestione o il gestore non cambia il senso delle considerazioni fatte nei punti precedenti e le priorità infrastrutturali necessarie per far funzionare lo scalo fiorentino e il sistema toscano.

Avere una pista di 2.000 o 2.400 metri, in concreto, ha relazione con il grado di funzionalità che si vuole ottenere per lo scalo fiorentino, ossia la diversa dimensione di pista incide sul grado di operatività degli stessi velivoli di riferimento dello scalo. In particolare incide sulla capacità di carico per i decolli, che su rotte più lunghe operate con i modelli a maggiore capienza, con la pista di dimensione minima (2.000 metri) potranno essere soggetti a vari gradi di penalizzazioni. Penalizzazioni che potranno indurre l’utilizzo sulla stessa tratta di versioni a minore capienza con l’esigenza di aumentare le frequenze dei collegamenti (quindi più movimenti aerei sullo scalo) per garantire la stessa offerta di posti, oppure potranno comportare la rinuncia a qualche rotta più lunga tra quelle previste, frenando il potenziale sviluppo dello scalo fiorentino e del sistema toscano (perché la domanda non gestibile a Firenze, come già avvenuto in diversi casi, non sarà automaticamente trasferibile a Pisa,con o senza gestione unica che sia per i due scali). In prospettiva, la pista nel taglio minimo e il conseguente minore impiego dei modelli a maggiore capacità di posti potrà significare un contenimento nel numero di passeggeri che potranno fruire dello scalo fiorentino.

D’altra parte la scelta dei 2.000 metri di pista imposto fin dall’inizio nell’atto urbanistico regionale della variante al PIT, come noto, rappresenta l’impostazione di fondo voluta dalla stessa Regione Toscana proprio per mantenere un controllo politico sulla potenzialità dello scalo di Firenze, controllo attuabile solo mantenendo un grado di carenza strutturale che in parte continui a “scoraggiare” voli e vettori, ottenibile appunto con la pista “minima” di 2.000 metri. Impostazione concordata dalla Regione con le istituzioni pisane, ben esplicitata nel corso di tutte le procedure attuate fino ad oggi e in tal modo per anni assecondata da tutti.

Una soluzione di “pista minima” assecondata perché per chi segue da sempre la questione aeroportuale fiorentina e per decenni ha visto enormi difficoltà nel mendicare anche un solo metro in più, avere una nuova infrastruttura di volo comunque riorientata e di 2.000 metri (più i 240 metri di fasce di sicurezza sulle due testate) rappresenterebbe un grande passo avanti. Al contrario, per qualunque osservatore esterno (esterno alle storture aeroportuali tutte toscane), tecnico, esperto o conoscitore del settore, la limitazione a 2.000 metri di una nuova pista per uno scalo dalle potenzialità come quello dell’area fiorentina rappresenta una scelta incomprensibile, che tra l’altro mantiene Firenze con una delle piste più corte nel sistema aeroportuale nazionale, anche rispetto a scali di città che hanno domanda di traffico aereo quasi nullo (come abbiamo raccontato tante volte sulle nostre pubblicazioni). Da qui la spinta (comprensibile) per i 2.400 metri inserita nel masterplan approvato lo scorso gennaio da ADF controllata dal precedente maggiore azionista, e supportata da ENAC con l’osservazione alla variante al PIT che chiedeva di non vincolare nel documento urbanistico una dimensione di pista (aspetto che per altro non avrebbe dovuto proprio stare in un atto come il PIT).

La Regione, bocciando l’osservazione dell’ENAC e confermando il vincolo ai 2.000 metri fa un atto coerente con l’impostazione politica di “contenimento aeroportuale” portata avanti per anni. Impostazione che al momento vede la posizione oscillante – e piuttosto curiosa – del nuovo maggiore azionista di ADF (e azionista di maggioranza di SAT), Corporacion America, quando dichiara di volersi attenere in pieno alle impostazioni urbanistiche regionali (avallandone quindi i vincoli realizzativi e operativi) e allo stesso momento auspica una pista meno vincolata e più lunga, perché più funzionale e meno inquinante (contenuta nel masterplan approvato da ADF in gennaio e suggerita da ENAC). Una situazione ancora caotica, nella quale però ognuno conosce bene il significato delle scelte che si fanno o non si fanno.

2 Responses to Questione pista # 4 – 2.000-2.400 metri

  1. antonio ha detto:

    GRAZIE PER CONTINUARE LA BATTAGLIA .

  2. salvatore ha detto:

    ma in sostanza quando verra’ approvato dalla regione il PIT dopo la prima approvazione da parte del governo,questa è la novella dello stento che dura,ahime’, da 40 anni,firenze a bisogno di una pista piu’ sicura, anche se Rossi la vuole di 2000 metri va bene lo stesso ma per carita’ che i lavori abbiano inizio,e che il partito del no si FACCIA DA PARTE

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