Prosegue anche in questo agosto lo stillicidio quasi quotidiano di voli che non riescono a operare regolarmente sul “Vespucci” di Firenze per lo stato di inadeguatezza della pista sulla quale – come ben noto – incide ogni minimo fenomeno meteorologico provocando continue emergenze funzionali. Emergenze qualche volta rilanciate sulle cronache locali dal racconto-denuncia di qualche passeggero, di solito subite dalle “vittime” di turno (passeggeri, equipaggi, operatori aeroportuali, cittadini) senza fare notizia. Un refolo di vento da sud manda in tilt gli atterraggi, un refolo di vento da nord manda in tilt i decolli, aggiungendo due gocce d’acqua vanno in tilt atterraggi e decolli. Nulla di nuovo, naturalmente, ma è sempre più insopportabile dover assistere a tutto ciò perché la questione pista è stata tenuta tanti anni (lo sarà ancora?) impantanata in tutt’altri diversivi che niente hanno a che vedere con la soluzione di questi problemi, di certo non imputabili a vento e pioggia. Problemi che intanto si acuiscono.
Come previsto, infatti, l’incremento dell’impiego sull’attuale “Vespucci” di nuovi modelli di aerei (Airbus A318 e A319, Embraer E-Jet), in parte per l’avvio di nuovi voli e l’arrivo di nuovi vettori, in parte per la sostituzione di precedenti velivoli (in particolare gli Avro RJ della BAE Systems), sta aggravando le criticità dovute al mix delle carenze della pista esistente (dimensioni e orientamento) e dell’incidenza su di essa delle condizioni meteorologiche. L’effetto è il solito copione replicato anche in questi giorni d’agosto: riattaccate ripetute, attese in volo e a terra, dirottamenti, cancellazioni, ritardi, coincidenza saltate, trasporto forzato in bus dei passeggeri, sforamenti nell’orario di chiusura dello scalo dei velivoli che devono rientrare al “Vespucci” nella notte, con tutto ciò che ne consegue in termini di disagi e costi, economici e ambientali.
È paradossale che proprio il miglioramento del “parco macchine”, con l’uso di velivoli migliori, più moderni, più veloci, più economici e molto meno inquinanti, accolti da ogni aeroporto, a Firenze incrementi i problemi perché intanto le infrastrutture di volo sono rimaste inchiodate nelle loro criticità. Il tutto perché chi avrebbe dovuto decidere qualcosa per tanto tempo non ha deciso nulla, per mantenere vivo l’unico possibile strumento di controllo politico della potenzialità dell’aeroporto dell’area fiorentina, ossia una pista il più possibile ferma nel suo quadro di disfunzioni operative per scoraggiare i vettori che scendono o vorrebbero scendere al “Vespucci”.
È dal 2001, quando la BAE Systems decise di interrompere la produzione dei “Jumbolini”, mettendo definitivamente fine alla famosa famiglia di velivoli studiati per piste corte e particolari, che si sapeva con ancor più evidenza quale sarebbe stata l’evoluzione operativa dello scalo fiorentino in assenza di interventi per la pista: una graduale obbligata sostituzione dei velivoli accompagnata da una maggiore incidenza delle penalizzazioni che, restando fermo sempre e comunque il parametro della sicurezza (imprescindibile per ogni aeroporto aperto al traffico), avrebbe inciso ancor più sul parametro funzionalità e quindi sulla regolarità dei voli (per altro con l’attuale pista spesso critica anche per Jumbolini, turboelica e velivoli di aviazione generale).
In tredici anni da quel 2001 non è stato permesso di fare sostanzialmente nulla, nonostante il passaggio da Firenze di investitori e progetti e tutt’oggi si attende che i passaggi politico-urbanistici lascino davvero strada alla soluzione dei veri problemi dello scalo fiorentino. Grida vendetta, di fronte a ogni mancato atterraggio, il tempo perso (anche considerando solo gli ultimi anni della vicenda) dietro zavorre politiche, iter burocratici e manovre societarie che riempiono giornali, TV e agende di partito, appassionano commentatori e frastornano l’opinione pubblica con polemiche senza senso, ma che davvero poco interessano a chi ogni giorno subisce le ordinarie emergenze funzionali del “Vespucci” aspettando solo di poter avere (quando?) un’infrastruttura normale.